martedì 7 giugno 2016

Imperia. Icone del pensiero – Le immagini e il “Vedere” filosofico (Francesco Mulè)


Imperia. Icone del pensiero – Le  immagini e il “Vedere” filosofico
Imperia. Oggi 20 maggio, ore 16,30, sarà Silvio Zaghi (non Pasquale Indulgenza che, per un contrattempo imprevisto, ha dovuto spostare la sua relazione al 27 maggio) a tenere un incontro presso il TEATRO L'ATTRITO, Via B. Bossi 43 (Borgo Foce) Imperia. Tema: Il MARE DELLA CONOSCENZA: ISOLE, TERRE, ARCIPELAGHI. Saranno letti brani di autorevoli nomi e cognomi del mondo della Filosofia. 1. Bello, quando sul mare si scontrano i venti e la cupa vastità delle acque si turba, guardare da terra il naufragio lontano: non ti rallegra lo spettacolo dell’altrui rovina, ma la distanza da una simile sorte” Lucrezio 2 “Vous  êtes  embarqué” Pascal 3. Carl Schmitt, Terra e mare,
pp. 11-14
L'uomo è un essere terrestre, un essere che calca la terra. Egli sta, cammina e si muove sulla solida terra. Questa è la sua collocazione e il suolo su cui poggia, e ciò determina il suo punto di vista, le sue impressioni e il suo modo di vedere il mondo. Dalla terra su cui nasce e si muove trae non solo il suo orizzonte, ma anche il modo di camminare e di muoversi e l'aspetto. Di conseguenza chiama «terra» l'astro su cui vive, sebbene, com'è noto, la sua superficie si componga per quasi tre quarti di acqua e solo per un quarto di terra, mentre anche i continenti più grandi non fanno che galleggiarvi come isole. Da quando sappiamo che la nostra terra ha la forma di una sfera parliamo con la massima naturalezza di «globo terrestre» e di «sfera terrestre », e troveresti strano doverti figurare un «globo marino» o una «sfera marina». La nostra intera esistenza nel mondo - felicità e infelicità, gioia e dolore - è per noi la vita « terrena» e, a seconda dei casi, un Paradiso terrestre o una terrena valle di lacrime.
Si spiega così il fatto che in molti miti e in molte leggende, in cui i popoli hanno conservato le loro esperienze e i loro ricordi più remoti e profondi, la terra appaia come la Grande Madre degli uomini. Essa è designata come la più antica di tutte le divinità. I testi sacri ci narrano che l'uomo viene dalla terra e alla terra deve fare ritorno. La terra è il suo fondamento materno, ed egli e quindi figlio della terra. Nei suoi simili vede fratelli terreni e abitanti della terra. Fra i quattro elementi tradizionali - terra, acqua, fuoco e aria -, la terra è l'elemento destinato all'uomo e quello che più lo determina. L'idea che un altro dei quattro elementi possa incidere sull'esistenza umana al pari della terra appare a prima vista solo una possibilità fantastica, giacché l'uomo non è un pesce ne un uccello, e ancora meno una creatura di fuoco, sempre che ve ne siano. L'esistenza umana e l'essere umano sono dunque, nella loro essenza, puramente terrestri, e hanno solo la terra come riferimento.-E davvero gli altri elementi sono soltanto fattori di second'ordine che a essa si aggiungono? Non è così semplice. La domanda se sia possibile un'esistenza umana diversa, non determinata in modo puramente terrestre, è più plausibile di quanto si pensi. Ti basta andare su una costa e alzare lo sguardo, e già l'immensa distesa del mare abbraccerà il tuo orizzonte. È significativo il fatto che l'uomo, quando si trova su una costa, guardi spontaneamente dalla terra verso il mare aperto, e non. al contrario, dal mare verso la terra. Nelle reminiscenze remote, spesso inconsce degli uomini, l'acqua e il mare rappresentano il misterioso fondamento originario di ogni vita….
Anche negli alberi genealogici costruiti dai naturalisti darwiniani i pesci e gli animali terrestri si trovano, in vari ordini, affiancati o in successione. Creature marine vi figurano come antenate dell'uomo. La preistoria e la protostoria dell'umanità sembrano confermare tale origine oceanica. Illustri scienziati hanno scoperto che accanto a popoli «autoctoni » - cioè nati sulla terra - vi sono stati anche popoli « autotalassici » - cioè foggiati esclusivamente dal mare - che non hanno mai calcato la terra e per i quali la terraferma non rappresentava nient'altro che il confine della loro esistenza puramente marina. Nelle isole dei mari del Sud, fra i navigatori polinesiani, i Canachi e i Sawaiori, si individuano ancora gli ultimi discendenti di questi uomini-pesce, la cui intera esistenza, l'immaginario e la lingua erano riferiti al mare. Le nostre idee di spazio e di tempo, derivateci dalla terraferma, apparivano loro tanto estranee e incomprensibili quanto, viceversa, per noi uomini di terra il mondo di quei puri uomini di mare è un mondo distante, difficilmente concepibile. La domanda cruciale è dunque questa: qual è il nostro elemento? Siamo figli della terra o del mare? A questa domanda non si può rispondere con un semplice aut-aut. Miti antichissimi, moderne ipotesi scientifiche e i risultati della ricerca protostorica lasciano aperte entrambe le possibilità.
4.
Platone, La nave e il nocchiero
Repubblica, VI, 488-489
SOCR. «Immagina dunque che qualcosa di questo genere accada su molte navi oppure su una soltanto: un armatore che sovrasta ogni membro dell’equipaggio per statura e per forza, ma è piuttosto sordo e ha la vista parimenti corta e conoscenze nautiche altrettanto ridotte; i marinai si disputano tra loro il compito di governare la nave, ciascuno pensando che tocchi a se stesso, pur non avendone affatto appresa la tecnica e non essendo in grado di indicare chi sia stato il suo maestro né in qual tempo egli l’abbia appresa; anzi si afferma addirittura che essa non è insegnabile, e si è pronti a fare a pezzi chi invece ne sostenga l’insegnabilità. E sempre si affollano intorno  all’isolato armatore, supplicandolo e facendo di tutto perché affidi loro il timone; e talvolta, se non riescono a convincerlo mentre altri hanno avuto miglior successo, uccidono questi ultimi o li gettano dalla nave, immobilizzano il nobile armatore con la mandragora o l’ubriachezza o qualsiasi altro mezzo, e prendono loro il comando della nave, dando fondo alle provviste e bevendo e gozzovigliando; e navigano com’è verosimile facciano simili capitani; e ancora elogiano, chiamandolo gran navigatore e capitano e conoscitore di cose nautiche, chi sia abile nell’aiutarli ad assumere il comando, persuadendo l’armatore o costringendolo con la violenza, mentre chi non si comporta così lo disprezzano come uomo inutile. Quanto poi al vero capitano, non li sfiora neppure il dubbio che egli debba prendersi cura delle condizioni del tempo, della stagione, del cielo, degli astri, dei venti e di tutto quanto appartiene a questa tecnica, se vuol essere realmente un comandante di nave; ma  perché si assuma il comando, che qualcuno lo voglia o no, essi non pensano che sia possibile acquisire la tecnica e la cura della navigazione e insieme con esse la capacità di governare la nave. Quando tutto ciò avvenga sulle navi, non credi che il vero tecnico del pilotaggio sarebbe chiamato in realtà uomo con la testa nelle nuvole,  chiacchierone e inutile dagli equipaggi a bordo di navi così organizzate?».
4.
Kant, L’isola della verità
Critica della ragion pura. Analitica dei principi, capitolo III
Noi abbiamo fin qui non solo percorso il territorio dell'intelletto puro esaminandone con cura ogni parte; ma l'abbiamo anche misurato, e abbiamo in esso assegnato a ciascuna cosa il suo posto. Ma questa terra è un'isola, chiusa dalla stessa natura entro confini immutabili. E la terra della verità (nome allettatore!), circondata da un vasto oceano tempestoso, impero proprio dell'apparenza, dove nebbie grosse e ghiacci, prossimi a liquefarsi, danno a ogni istante l'illusione di nuove terre, e, incessantemente ingannando con vane speranze il navigante errabondo in cerca di nuove scoperte, lo traggono in avventure, alle quali egli non sa mai sottrarsi, e delle quali non può mai venire a capo. Ma, prima di affidarci a questo mare, per indagarlo in tutta la sua distesa, e assicurarci se mai qualche cosa vi sia da sperare, sarà utile che prima diamo ancora uno sguardo alla carta della regione, che vogliamo abbandonare, e chiederci anzi tutto se non potessimo in ogni caso star contenti a ciò che essa contiene; o, anche, se non dovessimo accontentarcene per necessità, nel caso che altrove non ci fosse assolutamente un terreno, sul quale poterci fabbricare una casa; e in secondo luogo, a qual titolo noi possediamo questa stessa regione, e come possiamo assicurarla contro ogni nemica pretesa.
5
Nietzsche, filosofo oceanico
La gaia scienza, af. 124
124. Nell'orizzonte dell'infinito. Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave! Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle — e non è tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi. Ebbene, navicella! Guardati innanzi! Ai tuoi fianchi c'è l'oceano: è vero, non sempre muggisce, talvolta la sua discesa è come seta e oro e trasognamento della bontà. Ma verranno momenti in cui saprai che è infinito e che non c'è niente di più spaventevole dell'infinito. Oh, quel misero uccello che si è sentito libero e urta ora nelle pareti di questa gabbia! Guai se ti coglie la nostalgia della terra, come se là ci fosse stata più libertà - e non esiste più «terra» alcuna!
La gaia scienza, af. 289
289. Via sulle navi! Se si considera come una totale giustificazione filosofica della propria maniera di vivere e di pensare agisce su ogni singolo, - a guisa, cioè, di un sole che riscalda, benedice, feconda e risplende espressamente per lui, - se si pensa come essa lo rende indifferente alla lode e al biasimo, pago di sé, ricco, munifico di felicità e benevolenza; come essa incessantemente converte il male nel bene, fa sbocciare e maturare tutte le forze e non lascia che alligni minimamente la piccola e grande malerba dell'afflizione e della tetraggine - se si pone mente a tutto questo, si finisce per gridare, con tutto il nostro desiderio: oh. se fossero creati ancora molti nuovi soli come questi! Anche il malvagio, anche lo sventurato, anche l'uomo-eccezione deve avere la sua filosofia, il suo buon diritto, il suo splendore solare. Con costoro non è necessaria compassione. Dobbiamo disimparare questo suggerimento dell’ alterigia, per quanto a lungo fino a oggi l'umanità abbia appreso e messo in pratica precisamente quest'ultima: per costoro non abbiamo bisogno di tirare in ballo confessori, esorcizzatori d'anime, e rimettitori di peccati. È necessaria invece una nuova giustizia. E una nuova parola d'ordine. E nuovi filosofi. Anche la terra della morale è rotonda. Anche la terra della morale ha i suoi antipodi.. Anche gli antipodi hanno il loro diritto all'esistenza. C'è ancora un altro mondo da scoprire: e più d'uno! Via sulle navi, filosofi!
La gaia scienza, af. 343
343. Quel che significa per la nostra serenità. Il maggiore "degli avvenimenti più recenti - che «Dio è morto», che la fede nel Dio cristiano è divenuta inaccettabile - comincia già a gettare le sue prime ombre sull'Europa. Almeno a quei pochi, lo sguardo, la diffidenza di sguardo dei quali è abbastanza forte e sottile per questo spettacolo, pare appunto che un qualche sole sia tramontato, che una qualche antica, profonda fiducia si sia capovolta, in dubbio: a costoro il nostro vecchio mondo dovrà sembrare ogni giorno più crepuscolare, più sfiduciato, più estraneo, più «antico». Ma in sostanza si può dire, che l'avvenimento stesso è fin troppo grande, troppo distante, troppo alieno dalla capacità di comprensione del maggior numero perché possa dirsi già arrivata anche soltanto notizia di esso; e tanto meno, poi, perché molti già si rendano conto di quel che propriamente è accaduto con questo avvenimento - e di tutto quello che ormai, essendo sepolta questa fede, deve crollare, perché su di essa era stato costruito, e in essa aveva trovato il suo appoggio, e dentro di essa era cresciuto: per esempio tutta la nostra morale europea. Una lunga, copiosa serie di demolizioni, distruzioni, decadimenti, capovolgimenti ci sta ora dinanzi senza preoccuparci e temere per noi stessi? …
In realtà, noi filosofi e «spiriti liberi», alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presentimento, d'attesa, — finalmente l'orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, — finalmente possiamo di nuovo scioglier le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell'uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così «aperto».
Al di là del bene e del male, 23
23. Tutta quanta la psicologia è rimasta sino ad oggi sospesa a pregiudizi e apprensioni morali: essa non ha osato scendere nel profondo. Concepirla come morfologia e teoria evolutiva della volontà di potenza, come io la concepisco: - questo non è stato da nessuno neppure sfiorato col pensiero: stando al fatto, cioè, che ci è consentito di riconoscere, in quel che finora è stato scritto, un indizio di quel che finora è stato taciuto. Il potere dei pregiudizi morali è penetrato a fondo  nel mondo più intellettuali, in apparenza più freddo e più scevro di presupposti - e, come è facile comprendere, in maniera nociva, inibitoria, accecante e distorcente. Una peculiare fisio-psicologia deve lottare con resistenze incoscienti poste nell'animo dell'indagatore, essa ha il «cuore» contro di sé: già una dottrina del vicendevole condizionamento dei «buoni» e dei «cattivi» istinti provoca, come più sottile immoralità, in una coscienza vigorosa e impavida, pena e disgusto, - più ancora una dottrina della derivabilità di tutti gli istinti buoni da quelli cattivi. Posto invece che qualcuno assuma addirittura le passioni dell'odio, dell'invidia, della cupidigia, della brama di dominio come qualcosa di fondamentalmente e originariamente indispensabile alla complessiva economia della vita, qualcosa che deve quindi ulteriormente potenziarsi ove la vita debba essere ulteriormente potenziata - in questo caso egli soffrirebbe di un simile orientamento del suo giudizio come di un mal di mare. Eppure anche quest'ipotesi non è di gran lunga la più penosa e la più bizzarra in questo sterminato regno, quasi ancora nuovo, di pericolose conoscenze: - ed esistono, in realtà, cento buone ragioni perché ognuno se ne resti  lontano, se...può! D'altro canto: se ci si e spinti fin qui con la nostra nave, ebbene ! avanti, stringendo ora i denti da prodi! gli occhi ben aperti, la mano salda sul timone - navighiamo, lasciandoci risolutamente dietro la morale, calpestiamo, schiacciamo forse, cosi facendo, i nostri stessi residui di moralità, mentre compiamo e osiamo il nostro viaggio laggiù -ma che c'importa di noi!
Mai sino ad oggi un più profondo mondo della conoscenza  si  era dischiuso a navigatori e avventurieri temerari, e lo psicologo in tal modo «compie il sacrificio» - non il sacrificio dell’intelletto. al contrario! - potrà per lo meno pretendere che la psicologia sia nuovamente riconosciuta signora delle scienze, al servizio e alla preparazione della quale è destinata l'esistenza delle altre scienze. La psicologia infatti è ormai di nuovo la strada per i problemi fondamentali.
Aurora, af. 575
E dove, dunque, vogliamo arrivare? A di là del mare? Dove ci trascina questa possente avidità, che è più forte di qualsiasi desiderio? Perché proprio in quella direzione, laggiù dove sono fino ad oggi tramontati tutti i soli dell’ umanità? Un giorno si dirà ferse di noi che, volgendo la prua a occidente, anche noi speravamo di raggiungere un’India, ma che fu il nostro destino naufragare nell’infinito? Oppure, fratelli miei? Oppure?
(Francesco Mulè)

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