domenica 28 luglio 2013

A MEA SITÀ - EMILIA RAMÒ con la PREFAZIONE DI FRANCESCO MULÈ

A MEA SITÀ
di
EMILIA RAMÒ

PREFAZIONE DI FRANCESCO MULÈ



Motivo fondamentale per cui oggi si decida di scrivere, credo sia da rintracciarsi nel forte desiderio di volerci, sicuramente, ritrovare, perché ci siamo “umanamente perduti”. E, per Emilia Ramò, la scrittura e, in particolare, la poesia sono quella terapia psico-fisica che la conduce alla salvezza.
Se scrivere è arte del pensiero, se scrivere è arte della comunicazione del nostro pensiero, se scrivere è la vera arte della gnoseologia, quest'arte, ne siamo assolutamente convinti, è propria di Emilia Ramò, perché essa le appartiene dal momento che Ella viene ad evocare e fotografare con occhio nitido e obiettivo quelle vicende, quei momenti e quei fatti quotidiani che il tempo aveva nascosto se non addirittura obliato. Oggi si presenta con una nuova fatica letteraria intitolata “A mea sità”, interessante testo poetico in cui si viene a leggere il grande amore per la città natale, Sanremo; “O mea sità” (O mia città), componimento che apre l'intera silloge di 16 liriche in vernacolo dal forte colorito locale e dall'espressione linguistica assolutamente musicale: “Ina perla ti sei int'u sutiru ercu de / terra [] ti sei a so' Regina []. E ancù, ancù... ancù. / Ti sei bèla, mea sità. Ti sei viva! / Ti sei int'u mei cö. (Una perla sei del sottile arco / di terra [] tu sei la sua Regina []. E ancora, ancora... ancora. / Tu sei bella, mia città. Sei viva! / Sei nel mio palpito).
Scrivere è anche leggere, leggersi nella propria psiche e scoprire quel Sé con occhi lindi e puliti; scrivere è (ri)vedersi, verificarsi, (ri)conoscersi, (ri)scoprirsi nella obiettività di una cultura libera da coercizioni e da condizionamenti sociali, istituzionali. E tutto questo viene rimarcato tra i meravigliosi versi delle sue liriche. È con occhio attento che la Nostra scava nella sua memoria, nel suo passato, nella sua storia. Un “Ulisse” che mai intende chiudere il suo viaggio intorno alla sua Anima, intorno a quel mondo che tanto vuol conoscere e conquistare. E viaggia. E naviga alla ricerca del Sé. E mai si ferma. Ricerca che si legge nella lirica dedicata a “L'urassiun du marinà aa Madona de-a Costa” (L'orazione del marinaio alla Madonna della Costa): “...da speransa au mei cö. / Riturnà cuu To' agiütu, / au mei ma', au mei sé / e pregà ancù ai Töi pei, / ringrassiaTe cun amù / pe' a famija abrassà” (...dai speranza al mio cuore, / ritornare col Tuo aiuto / al mio mare, al mio cielo / e pregare ai Tuoi piedi, / ringraziarTi con amore / per la famiglia riabbracciata).
Un frate francescano e musicista bolognese del '700, Giambattista Martini, aveva così asserito: “La poesia è una vera pittura che parla e, al contrario, la pittura una poesia che tace”. Una nostra considerazione, al riguardo, sarebbe che la poesia della Nostra è una sequenza di pennellate che stanno a parlare con i molteplici colori della propria quotidianità, con tutte le tinte possedute dall'arcobaleno interiore.
“La poesia veritas est, perché in essa e attraverso di essa si riesce a cogliere l'essenza della propria esistenza”, viene a dirci il grande Aristotele. Liriche, quelle della Ramò, dai toni e dagli effetti policromatici costanti che riescono a permeare le immagini e la libertà delle immagini. Insomma, poesia e poeta dell'immagine; liriche di profonda maturità di pensiero e di tanta sensibilità, come in questi delicati e incantevoli versi de “A Maduneta de a muntà du 'Brüüxau'“ (La Madonnina della salita del 'Bruciato').
Nu han ciü tempu de fermasse; / de segnasse, Maduneta, / salüate cun amù, / cume alù a berbenate, / in to' unù, ascì chel'Ave” (Non han più tempo di fermarsi, / di segnarsi, Madonnina, / salutarti con amore, come / allora borbottare / in Tuo onore, ancora un'Ave).
E, ancora: “U ciatu son / d'in desgurdìu nüu pè. / Cun u cainélu rüzenùusu che / u sogna u pàixu ansenétu. / Deré ae abre du-u barcun mütu, / tristi fantasmi i aspeita, / int'a buca da nöte, / vivi mandurin, canti d'amù” (Il piatto suono / del nudo piè veloce. / Con l'anello rugginoso che / sogna il docile asinello, / dietro le ante della finestra muta, / tristi fantasmi aspettano / in bocca della notte, / vivi mandolini, canti d'amore) “A müraja antiga” (Il muro antico).
La nostra Poeta esce dal suo isolamento ed entra in contatto con il mondo; il monologo diventa dialogo, il dolore personale si trasforma in doglia umana più vasta, fino a diventare cosmica (vedi Leopardi, Pascoli); la rappresentazione si fa più distaccata e obiettiva.
Liriche intrise di amore, quindi, personali, che rivelano naturalezza, sincerità e luminosità di espressione. Fotogrammi e scatti fotografici di un animo molto sensibile e ricco di quella testimonianza poetica, bisognosa di aprirsi per liberarsi e librarsi verso lo stadio della spiritualizzazione. Diversi componimenti di Emilia Ramò sono delle definizioni che racchiudono il risultato di osservazioni ed esperienze personali: pseudoaforismi che comprendono tutta la complessità del suo pensiero.
Leggendo in modo più approfondito e analizzando gli affascinanti versi di ciascuna lirica ramoiana, possiamo sostenere che la Nostra si presenta come la poeta dell'interiorità, dello studio introspettivo dell'anima e della ricerca dell' ”Io”, attraverso l'analisi del proprio vissuto esistenziale; la poeta della lingua natia, della spiritualità che mette a nudo la propria anima.
Un'anima che, collocandosi tra lo Spirito e la materia, grazie alla sua sorprendente naturalezza e versatilità artistica, riesce ad accostare a cose comuni cose incommensurabili. Quella della Ramò viene ad essere una poesia ispirata, non scritta per le circostanze, su ordinazione o a comando; una poesia dal lungo lavoro di incubazione.
La Poeta, attraverso i suoi pensieri, tutti in versi liberi, intende raccontare i propri sentimenti, le proprie emozioni, le angosce, i propri stati d'animo con tutta la libertà e la spontaneità che il cuore e, spesso, la ragione, le vengono a dettare. Il presente libretto ci presenta una silloge di componimenti che sanno essere racconti di vita, frammenti di storia personale. Ed è la ratio per cui, con questo travaglio poetico, l'Autrice raggiunge un alto e raffinato grido di fascinazione lirica con uno stile di scrittura immediata, intima, interiore, spontanea e sincera nei contenuti espressivi, dove l'animo ben si fonde con il pensiero creativo.
I suoi sono versi dettati e suggeriti da stagioni passate e presenti che l'hanno toccata e continuano a toccarla ancora, suggerendole momenti di ispirazione spazio / temporale. Emilia Ramò poetizza la vita, narrandola in modo semplice, lineare e scorrevole con uno stile sobrio sulla tela di una storia / racconto, tale da coinvolgere il lettore così bene da immergerlo nel tempo e nello spazio. La poesia della Ramò, come quella di tutto il Novecento, possiede una forma decisamente aperta senza norme ritmiche necessitanti. Essa ha le caratteristiche della forza evocativa, della creatività fantastica, dell'intensità patetica, della ricchezza del pensiero.
L'amigu amandurin” (L'amico mandolino): “I sunava e to' corde / lasciù sce u verde prau / e cun a müüxica ardia, / bali maturni int'in sciaratu / de crü, s-ciupui de rie, / de cianti, in sce speranse növe / de botu scurdai, / in tüti i sciti / ti éiri müüxica, giögu. / O veju amandurin / apéeisu aa müràja / avura ti tàixi. / Ascì tü ti sei entrau / inte chela bèla fòura, / da nostra zuventù” (Suonavano le tue corde / lassù sul verde prato / e con la musica ardita, / balli pazzi in un frastuono / di gridi, scoppi di risate, / di pianti, sulle speranze nuove, / presto dimenticate. / In tutti i siti, / eri musica, gioco. / O vecchio mandolino, / appeso al muro / or taci. / Anche tu sei entrato / in quella bella favola / della nostra gioventù). Una lirica forte, ricca di dolore, di quasimodiana memoria “Alle fronde dei salici, per voto, / anche le nostre cetre erano appese, / oscillavano lievi al triste vento” (Alle fronde dei salici).
E, come quest'ultima, ne incontriamo altre che vanno ad arricchire “A mea sità” (La mia città): “Véja stassiun” (Vecchia stazione), “Superbia” (Superbia), “U stringàu” (L'avaro), che ci offrono il malessere esistenziale della Ramò, di una poeta “... fia du mundu, / stu mundu ch'u ven sempre ciü strentu, / delongu ciü poveru, insanghinàu / da ungrài caine, fraièire, / ingurde de sòudi e de cumandu” (… figlia del mondo, / questo mondo che viene sempre più stretto, / sempre più povero, insanguinato / da unghiate prepotenti, / ingorde di soldi e potere) “Cumandu cain” (Comando prepotente).
Brani caratterizzati da lunghi, freddi e tristi dialoghi interiori con sé stessa.
Ci vengono proposte 14 liriche che sono altrettante preziose perle di una collana letteraria che rappresenta la lunga ascesa verso la conoscenza / scoperta del proprio Ego, naturalmente poetico. In esse l'Autrice fa piazza pulita delle ormai desuete forme della metrica e della vecchia retorica.
Nella sua poetica si legge l'esenzialità del concetto e, per ottenere tale risultato, viene assolutamente e volutamente rifiutato il linguaggio già convenzionale della poesia, esprimendo quei momenti che appartengono esclusivamente al suo mondo interiore.
La raccolta, che abbiamo letto con profondo interesse, contiene componimenti che ritraggono l'iter della sua esistenza, del suo cammino attraverso il pensiero, attraverso il suo operato. Dunque una poesia personalizzata nel suo più intimo percorso naturale. Tutto questo perché l'Autrice ha saputo trovare dentro di sé un'isola immune da ogni moda e priva di qualsiasi discepolismo, presentandosi come la poeta del nostro tempo che parla con la voce e la ragione del cuore e, quindi, destinata a diventare una voce interessante per la poesia dei nostri giorni.
L'Autrice fa poesia per egemonizzare la qualità dell'uomo, il valore del sentimento, l'eticità della persona che spesso viene distrutta, nel presente, dal consumismo sfrenato costantemente radicato dai mass-media, da cui, volente o nolente, l'uomo viene continuamente travolto. Da sottolineare, inoltre, che, passione e vocazione per la scrittura, vengono a creare una poesia libera e liberatrice, una poesia che sa imporsi con tutta l'energia, propria della Nostra.
Poesie / canti, piccoli quadri, punti fermi delle sue stagioni, della sua natura, del suo cammino per i sentieri di un mondo che, in fondo, tutto le appartiene. Una voce, la sua, che dal profondo del proprio Ego, dice e parla al cuore di chi viene a leggerla.
Le liriche di “A mea sità” invitano il lettore / fruitore a ritemprarsi nella fresca sonorità poetica / immaginifica / narrativa di un universo, quello dell'Io dell'Autrice, che si svela una eccellente poeta, degna di tanto apprezzamento.
Quella della Ramò è sicuramente poesia / diario, “il giornale essenziale delle forme essenziali della poesia”. Una poesia che si svolge pienamente per definizione al centro della storia della poesia del Ventunesimo secolo. Un libretto di emozioni, “A mea sità”; un piccolo / grande poema della parola, oggetto della realtà. Emilia Ramò: la poeta del pensiero / vita.
Dopo avere attentamente analizzato i versi della presente silloge, possiamo concludere che abbiamo vissuto, respirato e navigato una poesia così autentica nella sua spiritualità da trascendere il continuo imperversare del materialismo dei nostri giorni che la tecnologia elargisce all'uomo nella quotidianità terrena del nostro tempo.


Vallecrosia, 21 aprile 2013

Prof. Francesco Mulè
(Poeta, critico letterario, giornalista, presidente del Circolo Culturale “Smile”,
promotore del Premio Letterario Internazionale “G. Natta”)

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