A MEA SITÀ
di
EMILIA RAMÒ
PREFAZIONE DI FRANCESCO MULÈ
Motivo fondamentale per cui oggi
si decida di scrivere, credo sia da rintracciarsi nel forte desiderio
di volerci, sicuramente, ritrovare, perché ci siamo “umanamente
perduti”. E, per Emilia Ramò, la scrittura e, in particolare, la
poesia sono quella terapia psico-fisica che la conduce alla salvezza.
Se scrivere è arte del pensiero,
se scrivere è arte della comunicazione del nostro pensiero, se
scrivere è la vera arte della gnoseologia, quest'arte, ne siamo
assolutamente convinti, è propria di Emilia Ramò, perché essa le
appartiene dal momento che Ella viene ad evocare e fotografare con
occhio nitido e obiettivo quelle vicende, quei momenti e quei fatti
quotidiani che il tempo aveva nascosto se non addirittura obliato.
Oggi si presenta con una nuova fatica letteraria intitolata “A mea
sità”, interessante testo poetico in cui si viene a leggere il
grande amore per la città natale, Sanremo; “O mea sità”
(O mia città), componimento che apre l'intera silloge di 16 liriche
in vernacolo dal forte colorito locale e dall'espressione linguistica
assolutamente musicale: “Ina perla ti sei int'u sutiru ercu de /
terra […]
ti sei a so' Regina […].
E ancù, ancù... ancù. / Ti sei bèla, mea sità. Ti sei viva! / Ti
sei int'u mei cö”.
(Una perla sei del sottile arco / di terra […]
tu sei la sua Regina […].
E ancora, ancora... ancora. / Tu sei bella, mia città. Sei viva! /
Sei nel mio palpito).
Scrivere è anche leggere,
leggersi nella propria psiche e scoprire quel Sé con occhi lindi e
puliti; scrivere è (ri)vedersi, verificarsi, (ri)conoscersi,
(ri)scoprirsi nella obiettività di una cultura libera da coercizioni
e da condizionamenti sociali, istituzionali. E tutto questo viene
rimarcato tra i meravigliosi versi delle sue liriche. È
con occhio attento che la Nostra scava nella sua memoria, nel suo
passato, nella sua storia. Un “Ulisse” che mai intende chiudere
il suo viaggio intorno alla sua Anima, intorno a quel mondo che tanto
vuol conoscere e conquistare. E viaggia. E naviga alla ricerca del
Sé. E mai si ferma. Ricerca che si legge nella lirica dedicata a
“L'urassiun du marinà aa Madona de-a Costa” (L'orazione
del marinaio alla Madonna della Costa): “...da speransa au mei
cö. /
Riturnà cuu To' agiütu,
/ au mei ma', au mei sé / e pregà ancù ai Töi
pei, / ringrassiaTe cun amù / pe' a famija abrassà” (...dai
speranza al mio cuore, / ritornare col Tuo aiuto / al mio mare, al
mio cielo / e pregare ai Tuoi piedi, / ringraziarTi con amore / per
la famiglia riabbracciata).
Un frate francescano e musicista
bolognese del '700, Giambattista Martini, aveva così asserito: “La
poesia è una vera pittura che parla e, al contrario, la pittura una
poesia che tace”. Una nostra considerazione, al riguardo, sarebbe
che la poesia della Nostra è una sequenza di pennellate che stanno a
parlare con i molteplici colori della propria quotidianità, con
tutte le tinte possedute dall'arcobaleno interiore.
“La poesia veritas est, perché
in essa e attraverso di essa si riesce a cogliere l'essenza della
propria esistenza”, viene a dirci il grande Aristotele. Liriche,
quelle della Ramò, dai toni e dagli effetti policromatici costanti
che riescono a permeare le immagini e la libertà delle immagini.
Insomma, poesia e poeta dell'immagine; liriche di profonda maturità
di pensiero e di tanta sensibilità, come in questi delicati e
incantevoli versi de “A Maduneta de a muntà du 'Brüüxau'“
(La Madonnina della salita del 'Bruciato').
“Nu han ciü
tempu de fermasse; / de segnasse, Maduneta, / salüate
cun amù, / cume alù a berbenate, / in to' unù, ascì chel'Ave”
(Non han più tempo di fermarsi,
/ di segnarsi, Madonnina, / salutarti con amore, come / allora
borbottare / in Tuo onore, ancora un'Ave).
E,
ancora: “U ciatu son / d'in desgurdìu nüu
pè. / Cun u cainélu rüzenùusu
che / u sogna u pàixu ansenétu. / Deré ae abre du-u barcun mütu,
/ tristi fantasmi i aspeita, / int'a buca da nöte,
/ vivi mandurin, canti d'amù” (Il
piatto suono / del nudo piè veloce. / Con l'anello rugginoso che /
sogna il docile asinello, / dietro le ante della finestra muta, /
tristi fantasmi aspettano / in bocca della notte, / vivi mandolini,
canti d'amore) “A müraja
antiga” (Il
muro antico).
La nostra Poeta esce dal suo isolamento ed entra in contatto con il
mondo; il monologo diventa dialogo, il dolore personale si trasforma
in doglia umana più vasta, fino a diventare cosmica (vedi Leopardi,
Pascoli); la rappresentazione si fa più distaccata e obiettiva.
Liriche intrise di amore, quindi, personali, che rivelano
naturalezza, sincerità e luminosità di espressione. Fotogrammi e
scatti fotografici di un animo molto sensibile e ricco di quella
testimonianza poetica, bisognosa di aprirsi per liberarsi e librarsi
verso lo stadio della spiritualizzazione. Diversi componimenti di
Emilia Ramò sono delle definizioni che racchiudono il risultato di
osservazioni ed esperienze personali: pseudoaforismi che comprendono
tutta la complessità del suo pensiero.
Leggendo in modo più approfondito e analizzando gli affascinanti
versi di ciascuna lirica ramoiana, possiamo sostenere che la Nostra
si presenta come la poeta dell'interiorità, dello studio
introspettivo dell'anima e della ricerca dell' ”Io”, attraverso
l'analisi del proprio vissuto esistenziale; la poeta della lingua
natia, della spiritualità che mette a nudo la propria anima.
Un'anima
che, collocandosi tra lo Spirito e la materia, grazie alla sua
sorprendente naturalezza e versatilità artistica, riesce ad
accostare a cose comuni cose incommensurabili. Quella della Ramò
viene ad essere una poesia ispirata, non scritta per le circostanze,
su ordinazione o a comando; una poesia dal lungo lavoro di
incubazione.
La
Poeta, attraverso i suoi pensieri, tutti in versi liberi, intende
raccontare i propri sentimenti, le proprie emozioni, le angosce, i
propri stati d'animo con tutta la libertà e la spontaneità che il
cuore e, spesso, la ragione, le vengono a dettare. Il presente
libretto ci presenta una silloge di componimenti che sanno essere
racconti di vita, frammenti di storia personale. Ed è la ratio
per cui, con questo travaglio
poetico,
l'Autrice raggiunge un alto e raffinato grido
di fascinazione lirica con uno stile di scrittura immediata, intima,
interiore, spontanea e sincera nei contenuti espressivi, dove l'animo
ben si fonde con il pensiero creativo.
I suoi sono versi dettati e suggeriti da stagioni passate e presenti
che l'hanno toccata e continuano a toccarla ancora, suggerendole
momenti di ispirazione spazio / temporale. Emilia Ramò poetizza la
vita, narrandola in modo semplice, lineare e scorrevole con uno stile
sobrio sulla tela di una storia / racconto, tale da coinvolgere il
lettore così bene da immergerlo nel tempo e nello spazio. La poesia
della Ramò, come quella di tutto il Novecento, possiede una forma
decisamente aperta senza norme ritmiche necessitanti. Essa ha le
caratteristiche della forza evocativa, della creatività fantastica,
dell'intensità patetica, della ricchezza del pensiero.
“L'amigu
amandurin” (L'amico
mandolino): “I
sunava e to' corde / lasciù sce u verde prau / e cun a müüxica
ardia, / bali maturni int'in sciaratu / de crü,
s-ciupui de rie, / de cianti, in sce speranse növe
/ de botu scurdai, / in tüti
i sciti / ti éiri müüxica,
giögu.
/ O veju amandurin / apéeisu aa müràja
/ avura ti tàixi. / Ascì tü
ti sei entrau / inte chela bèla fòura, / da nostra zuventù”
(Suonavano
le tue corde / lassù sul verde prato / e con la musica ardita, /
balli pazzi in un frastuono / di gridi, scoppi di risate, / di
pianti, sulle speranze nuove, / presto dimenticate. / In tutti i
siti, / eri musica, gioco. / O vecchio mandolino, / appeso al muro /
or taci. / Anche tu sei entrato / in quella bella favola / della
nostra gioventù).
Una
lirica forte, ricca di dolore, di quasimodiana memoria “Alle
fronde dei salici, per voto, / anche le nostre cetre erano appese, /
oscillavano lievi al triste vento”
(Alle fronde dei
salici).
E,
come quest'ultima, ne incontriamo altre che vanno ad arricchire “A
mea sità” (La
mia città): “Véja
stassiun” (Vecchia
stazione), “Superbia”
(Superbia),
“U stringàu”
(L'avaro),
che ci offrono il malessere esistenziale della Ramò, di una poeta
“... fia du
mundu, / stu mundu ch'u ven sempre ciü
strentu, / delongu ciü
poveru, insanghinàu / da ungrài caine, fraièire, / ingurde de
sòudi e de cumandu”
(…
figlia del mondo, / questo mondo che viene sempre più stretto, /
sempre più povero, insanguinato / da unghiate prepotenti, / ingorde
di soldi e potere) “Cumandu
cain” (Comando
prepotente).
Brani caratterizzati da lunghi, freddi e tristi dialoghi interiori
con sé stessa.
Ci vengono proposte 14 liriche che sono altrettante preziose perle di
una collana letteraria che rappresenta la lunga ascesa verso la
conoscenza / scoperta del proprio Ego, naturalmente poetico. In esse
l'Autrice fa piazza pulita delle ormai desuete forme della metrica e
della vecchia retorica.
Nella sua poetica si legge l'esenzialità del concetto e, per
ottenere tale risultato, viene assolutamente e volutamente rifiutato
il linguaggio già convenzionale della poesia, esprimendo quei
momenti che appartengono esclusivamente al suo mondo interiore.
La
raccolta, che abbiamo letto con profondo interesse, contiene
componimenti che ritraggono l'iter
della sua esistenza, del suo cammino attraverso il pensiero,
attraverso il suo operato. Dunque una poesia personalizzata nel suo
più intimo percorso naturale. Tutto questo perché l'Autrice ha
saputo trovare dentro di sé un'isola immune da ogni moda e priva di
qualsiasi discepolismo, presentandosi come la poeta del nostro tempo
che parla con la voce e la ragione del cuore e, quindi, destinata a
diventare una voce interessante per la poesia dei nostri giorni.
L'Autrice fa poesia per egemonizzare la qualità dell'uomo, il valore
del sentimento, l'eticità della persona che spesso viene distrutta,
nel presente, dal consumismo sfrenato costantemente radicato dai
mass-media, da cui, volente o nolente, l'uomo viene continuamente
travolto. Da sottolineare, inoltre, che, passione e vocazione per la
scrittura, vengono a creare una poesia libera e liberatrice, una
poesia che sa imporsi con tutta l'energia, propria della Nostra.
Poesie / canti, piccoli quadri, punti fermi delle sue stagioni, della
sua natura, del suo cammino per i sentieri di un mondo che, in fondo,
tutto le appartiene. Una voce, la sua, che dal profondo del proprio
Ego, dice e parla al cuore di chi viene a leggerla.
Le
liriche di “A mea
sità” invitano
il lettore / fruitore a ritemprarsi nella fresca sonorità poetica /
immaginifica / narrativa di un universo, quello dell'Io dell'Autrice,
che si svela una eccellente poeta, degna di tanto apprezzamento.
Quella
della Ramò è sicuramente poesia / diario, “il
giornale essenziale delle forme essenziali della poesia”.
Una poesia che si svolge pienamente per definizione al centro della
storia della poesia del Ventunesimo secolo. Un libretto di emozioni,
“A mea sità”;
un piccolo / grande poema della parola, oggetto della realtà. Emilia
Ramò: la poeta del pensiero / vita.
Dopo avere attentamente analizzato i versi della presente silloge,
possiamo concludere che abbiamo vissuto, respirato e navigato una
poesia così autentica nella sua spiritualità da trascendere il
continuo imperversare del materialismo dei nostri giorni che la
tecnologia elargisce all'uomo nella quotidianità terrena del nostro
tempo.
Vallecrosia, 21 aprile 2013
Prof. Francesco Mulè
(Poeta, critico letterario,
giornalista, presidente del Circolo Culturale “Smile”,
promotore del Premio Letterario
Internazionale “G. Natta”)
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